Horror, splatter, giallo all'italiana, spaghetti western, poliziotteschi, commedie sexy, cannibal movie

giovedì 5 luglio 2012

La mala ordina di Fernando Di Leo


Luca Canali è un magnaccia di Milano, un pesce piccolo, un delinquente “per bene”, che viene ingiustamente incolpato di aver fregato soldi alla mafia durante un traffico di droga. Dall’America, il boss dei boss, assolda due killer e li spedisce in Italia per farlo uccidere. L’ordine è di farlo in maniera plateale per dare una dimostrazione forte anche alla mala Milanese.
Luca Canali, che ha sempre rispettato “la famiglia” e non ha mai creato casini, si ritrova a essere tallonato dalla mafia locale del boss Settesoldi e dai due killer americani senza saperne il motivo. Abbandonato da tutti riesce in qualche modo a scappare agli uomini del boss di Milano e a nascondersi. La mala milanese comincia a sentirsi in pericolo in quanto è il boss di Milano che ha fregato gli americani. Così Settesoldi fa uccidere la moglie e la figlia piccola di Luca Canali per stanarlo. Questi esce allo scoperto e pianifica la sua vendetta. S’intrufola nel quartier generale del boss e lo uccide nel suo studio dopo aver fatto una strage. Poi fa recapitare un messaggio ai due killer per dire loro che il colpevole era Settesoldi. Ma gli ordini sono di uccidere Luca Canali e i due killer devono portare a termine la loro missione. Così, all’interno di un cimitero di macchine, ci sarà la sfida fra Luca Canali e i due killer americano assoldati dalla mafia. Luca Canali riuscirà a uscirne vivo.



Grande pellicola di Fernando Di Leo. Secondo film, dopo Milano Calibro 9, della trilogia del milieu. Noir in piena regola e azione pura. Altro film amato da Quentin Tarantino.
Mario Adorf, qua attore protagonista, un grande che tiene letteralmente la scena. Adolfo Celi cattivissimo nella parte del boss Settesoldi. Henry Silva spavaldo e “americano” e Woody Strode cattivo e duro sono i due killer americani.
Tarantino guarda e impara e noi…. Si snobbano.
Grande cult da vedere assolutamente.

L'inizio del film
 

sabato 16 giugno 2012

L'allenatore nel pallone di Sergio Martino


La squadra di calcio della Longobarda viene promossa per la prima volta nella storia in seria A. Il presidente, ospite a una trasmissione sportiva, annuncia in diretta tv il nome del nuovo allenatore. Oronzo Canà (Lino Banfi) che assiste alla trasmissione sente pronunciare il suo nome e sviene.
Canà è un pessimo allenatore e non ha effettivamente le idee chiare in quanto a schemi e tattiche. Ormai famoso il suo modulo 5-5-5 denominato Bizona. Aiutato da due maldestri imbroglioni (Gigi e Andrea) si reca in Brasile e dopo varie peripezie riesce a portare a casa un completo sconosciuto, Aristoteles, che è un vero e proprio fuoriclasse. Il campionato inizia e si mette subito male per la Longobarda, di domeniche in domeniche si ritrova a lottare per non retrocedere. Canà ha tutti contro: tifosi, giornalisti, la dirigenza, l’unico che lo sostiene è il presidente. Ci si mette anche Aristoteles a complicare le cose, la nostalgia del Brasile prima e un infortunio dopo. Ma poi tutto si rimette per il verso giusto. Aristoteles si avvicina alla figlia di Canà, ricomincia a giocare e la Longobarda ricomincia a vincere. L’ultima partita sarà decisiva, ci vuole una vittoria per rimanere in serie A. Il presidente preoccupato confessa in malo modo a Canà che è stato ingaggiato con l’intento di retrocedere subito in serie B e deve assolutamente perdere la partita decisiva…


Cult assoluto di Sergio Martino con un Lino Banfi in forma splendida. Probabilmente nessuno si aspettava un successo clamoroso di questo film. Successo che si è sviluppato nel tempo tanto da portare alla realizzazione a più di vent’anni a un seguito: L'allenatore nel pallone 2 (che non ho visto e che probabilmente non vedrò mai!).
Nel cast anche Gigi e Andrea e i camei di vari giocatori e addetti ai lavori, fra i quali Pruzzo, Graziani, De Sisti. Si ride, ci si commuove pure in certe scene e si gioisce e si tifa per lo sfigato Oronzo Canà, soprattutto nel finale quando tutti lo portano in gloria e il presidente gli dice: "lo sa... lei è un disoccupato" e Canà risponde: "si. E lei è un cornuto!". Guardate la scena sotto e capirete. Sballo!

Una scena del film


martedì 5 giugno 2012

Quel maledetto treno blindato di Enzo G. Castellari


Siamo in Francia, durante la seconda guerra mondiale. Cinque disertori e il tenente Yeager arrestato per insubordinazione devono essere condotti in carcere. Durante il trasferimento gli alleati cadono in una imboscata tesa dai tedeschi e il gruppetto di disertori (i Bastardi) riesce a fuggire. La nuova squadra capitanata dal tenente Yeager decide di raggiungere la Svizzera, nazione neutrale alla guerra, per conquistare la libertà. La fuga non è semplice in quanto la zona è piena di pattuglie tedesche. Uccidono diversi tedeschi e ne indossano le divise per passare inosservati. L’ultima pattuglia che fanno fuori però si rivela essere una squadra speciale di soldati americani in missione segreta. I Bastardi prenderanno il loro posto per aiutare il colonnello Buckner nell’incarico che era stato affidato alla squadra speciale da loro fatta fuori. La missione consiste nel recuperare un dispositivo nucleare che viaggia in un treno. I Bastardi riusciranno a portare a termine il loro compito ma muoiono quasi tutti.


Cultissimo film del 1978 di Enzo G. Castellari con un cast internazionale composto da Bo Svenson, Fred Williamson, Michael Pergolani, Peter Hooten. Nella sceneggiatura appare anche il nome di Sergio Grieco (la Belva col mitra). All'estero è uscito col titolo Inglorious Bastards in quanto il titolo di lavorazione del film era, in origine, Bastardi senza gloria. È uno dei film più amati da Quentin Tarantino, tanto che il suo "Bastardi senza gloria" è ispirato ed è anche un omaggio al film di Castellari. Per la prima del suo film in Italia Tarantino ha voluto al suo fianco proprio Castellari riempiendolo di elogi. In barba ai “critici” italiani che hanno sempre bistrattato questi film. Che ridere! Da vedere assolutamente.

Il trailer del film

sabato 2 giugno 2012

Milano calibro 9 di Fernando Di Leo


Ugo Piazza esce da San Vittore grazie a un’amnistia e subito viene avvicinato dagli uomini de L’Americano, boss mafioso trapiantato a Milano, per cui lavorava. Ugo è accusato di aver fregato al boss 300mila dollari durante un passaggio di mani dei soldi, avvenuto tre anni prima. Nonostante Ugo neghi fermamente di aver fregato L’Americano, gli scagnozzi del boss non lo mollano un attimo e non perdono tempo per fargli sentire il fiato sul collo in tutte le maniere. Inoltre Ugo Piazza è tallonato dalla polizia che punta all’Americano e da un individuo misterioso del quale vediamo solo che indossa una giacca rossa. Ma Ugo è un tipo tosto, non molla. Torna dall’amante, una ballerina da night e si riavvicina all’amico Chino, un killer siciliano. Nel frattempo viene ingaggiato nuovamente dall’Americano con l’intento di tenerlo sott’occhio, ma gli eventi crollano vertiginosamente fino ad arrivare a un imprevedibile e tragico finale.

Milano calibro 9, ispirato ai racconti di Giorgio Scerbanenco, non è propriamente un poliziottesco anche se viene spesso inserito in quel genere. E' un noir in piena regola e fuori dagli schemi come lo sono un po’ tutti i film di Fernando Di Leo.
Da urlo il cast con un ottimo Gastone Moschin nella parte di Ugo Piazza, Mario Adorf, sempre sopra le righe, braccio destro dell’Americano, Barbara Bouchet nella parte della ballerina amante di Ugo e Philippe Leroy nei panni del killer Chino.
Ottima la colonna sonora firmata da Luis Bacalov e dal gruppo progressista italiano degli Osanna. Sceneggiatura di ferro scritta dallo stesso Fernando Di Leo. Sorprendente per alcuni spunti e temi. Un esempio è la discussione fra il commissario di polizia e il suo vice che affrontano problemi che abbiamo tutt'oggi come quello del sovraffollamento delle carceri e sulla condizione in cui vivono i detenuti.
Capolavoro del noir italiano. Da vedere assolutamente.

Il trailer del film
 

giovedì 31 maggio 2012

La belva col mitra di Sergio Grieco


Nanni Vitali evade dal carcere con quattro complici. Nanni è un pericoloso criminale, il suo obiettivo è la vendetta, regolare i conti con quelli che lo hanno fatto arrestare. E mentre cerca il traditore, un certo Barbareschi, sparge sangue ovunque. Così, lui e i suoi uomini che lo seguano ciecamente, sequestrano Barbareschi insieme alla sua donna, Giuliana. Mentre gli uomini di Vitali pestano e uccidono con la calce viva il traditore, Nanni stupra Giuliana. Nel frattempo il Commissario Santini cerca di fermarlo e segue le sue tracce. Nanni Vitali fa di Giuliana la sua donna, si rinchiude con lei in un Hotel e la costringe a partecipare a una rapina nell’Azienda dove il padre di lei lavora come guardia. Giuliana, di nascosto e impaurita, si reca alla polizia e svela le intenzioni del criminale al commissario Santini che organizza quindi una trappola nella quale vengono catturati i complici di Vitali. La belva, ormai sola, riesce a fuggire, facendosi largo sparando con un mitra da un'auto in corsa e forzando il blocco della polizia. Vitali fa visita alla sorella per chiederle dei soldi e le dice che lascerà il paese solo dopo aver sistemato i conti con il commissario Santini e con Giuliana che l'ha tradito. Prova a uccidere Giuliana, sotto scorta, ma fallisce ferendola, così, aiutato da un giovane delinquente detto il “Bimbo”, rapisce Carla e il Giudice Santini, rispettivamente sorella e padre del commissario. Il giudice Santini è colui che confermò la pena a Nanni Vitali. Il commissario Santini individua i rapitori in un capannone abbandonato in un piccolo paesino. Uccide "Bimbo" con un colpo di pistola, e riesce ad avere la meglio su Vitali in un combattimento che finisce in un corpo a corpo a mani nude.

La belva col mitra è un film diretto da Sergio Grieco. È una pellicola molto particolare nel panorama dei poliziotteschi, un pulp amatissimo da Quentin Tarantino che lo ha omaggiato nel suo Jackie Brown, dove Melanie guarda in tv proprio la Belva col mitra. Famosissima la frase di Samuel Jackson che vede Helmut Berger (Nanni Vitali) e esclama “ma chi è Rutger Hauer?”.
Fatto sta che Helmut Berger è straordinario, bello, folle, violento. Berger da il meglio di sé in una intensissima interpretazione che da solo vale la visione del film. Sottotono invece l’interpretazione, svogliata, di Richard Harrison, nei panni del commissario che sembra la copia sbiadita di Maurizio Merli. Bellissima e spaventatissima Marisa Mell che interpreta Giuliana, a quel tempo compagna nella vita reale proprio di Helmut Berger.
Durante la visione ci si rende conto anche del fatto che la pellicola ha dei momenti imbarazzanti come le facili fughe di Nanni Vitali e la stupidità del commissario e delle autorità nel prendere alcune decisioni.
Nonostante questo il film è uno dei miei preferiti. Grieco riesce a mantenere sempre alto l’interesse dello spettatore. Per tutto il film aleggia un'atmosfera malvagia e malsana che non ho riscontrato in nessuna altra pellicola del genere. Quella sensazione di "fastidio" che provo ogni volta che vedo questo film è … piacevole! Merito indubbiamente del regista e di Helmut Berger.
La sequenza finale la dovrebbero far studiare a tutti gli aspiranti registi, per il modo in cui è girata ma soprattutto per il carico emozionale che trasmette. Grieco si sofferma sull’arresto di Helmut Berger, che appare come un Belva legata che grida (in silenzio) vendetta… eccezionale!
Bella e funzionale alla storia la colonna sonora di Umberto Smaila.

Il trailer del film


 

Django di Sergio Corbucci


In un paesino immerso nel fango arriva Django, un reduce di guerra, trascinandosi dietro una cassa da morto. Il paese è un campo di battaglia e vede fronteggiarsi una setta di razzisti incappucciati comandati dal maggiore Jackson e un gruppo di rivoluzionari messicani con a capo il generale Rodriguez. Django non è arrivato lì per caso, vuole vendicare la moglie uccisa in sua assenza. Davanti a un desolato saloon, scoperchia la cassa da morto, tira fuori una mitragliatrice e fa fuori una quarantina di uomini del maggiore Jackson. Django si conquista così la fiducia dei rivoluzionari messicani e con loro organizza un attacco a un forte ma al momento della spartizione del bottino Django, non avendo ciò che vuole decide di prendersi tutto. I messicani s’incazzano di brutto e gli spappolano le mani passandoci sopra con i cavalli. Django si trascina fino al cimitero, sulla tomba della moglie. Nel frattempo il maggiore Jackson sgomina i messicani e uccide il generale Rodriguez. Nel finale Django fronteggia Jackson al cimitero e riuscirà a portare a termine la sua vendetta uccidendolo anche con le mani spappolate.

Django è un film diretto da Sergio Corbucci. È un cult, è storia del cinema italiano, pietra miliare del genere spaghetti-western. È amato in tutto il mondo. Nel 2007 il regista Takashi Miike gira Sukiyaki Western Django, un riadattamento-tributo al film di Corbucci trasportando l’azione in uno scenario giapponese. 
Nel 2011 Quentin Tarantino ha iniziato le riprese di Django Unchained, un omaggio al film italiano.
La pellicola di Corbucci ha lanciato Franco Nero come star internazionale, qui alla sua prima apparizione come protagonista. Per quei tempi, era il 1966, questa pellicola presentava scene molto forti. Allo spione del maggiore Jackson i messicani tagliano un orecchio e glielo fanno mangiare.
La scena iniziale è famosa in tutto il modo, Django che trascina la cassa da morto in un deserto fangoso sotto le note dell’omonima canzone cantata da Rocky Roberts e scritta da Luis Bacalov. Roba da far venire i brividi. Django è un film da amare e basta.
Il trailer del film.

mercoledì 30 maggio 2012

Pellicole senza gloria - Presentazione


Pellicole senza gloria: il cinema italiano che non c’è più.
Si, perché il cinema italiano è morto. O quantomeno è in agonia da diverso tempo ormai.
Con questo blog voglio celebrare quel tipo di cinema bistrattato negli anni passati dai “critici” (o presunti tali) nostrani.
Onorare i registi che hanno fatto grande il cinema italiano. Lucio Fulci, Mario Bava, Umberto Lenzi, Enzo G. Castellari, Sergio Corbucci, Joe D’amato, Michele Soavi per citarne solo alcuni.
Omaggiare i cosiddetti B-Movie, i film di serie B.
Il cinema horror e splatter, gli spaghetti western, la commedia sexy, il poliziottesco, i cannibal movie, i gialli all’italiana. Quelle pellicole che riuscivano ad abbattere le barriere e arrivavano in ogni parte del mondo, a differenza di oggi.
I film di oggi sono prodotti fine a se stessi, fatti senza passione, chiusi in se stessi. Se li tocchi si chiudono a riccio e rimangono immobili, si difendono così, non osano, non ne hanno i mezzi. Alla fine li lasci lì perché se li tocchi pungono. Naturalmente ci sono le eccezioni ma sono poche.
Lo ammetto, non è una novità. Di blog che parlano del cinema italiano di genere ce ne sono a bizzeffe… Ecchisenefrega, questo è il cinema italiano che mi piace.